lunedì 4 luglio 2011

Scontro di galassie


Questa immagine dell’ammasso di galassie Abell 2744
 è il risultato della combinazione di dati ottenuti nel visibile
 dal telescopio spaziale Hubble e dal telescopio VLT,
 dell’osservatorio orbitante per raggi X Chandra e di una
ricostruzione basata su un modello matematico sulla distribuzione
all'interno dell'ammasso della materia oscura.
 Le galassie che formano l’ammasso sono l’unica materia
visibile nella banda ottica e rappresentano circa il 5% della
 massa totale. Il caldo gas di cui è permeato l’ammasso,
rappresentato in colore rosa, è visibile grazie alla sua emissione
di raggi X (20% della massa totale). Infine,
 la parte di colore blu rappresenta le zone
 in cui si concentra la materia oscura, che costituisce circa il 75%
 della massa totale dell’ammasso. NASA, ESA, ESO,
 CXC & D. Coe (STScI)/J. Merten (Heidelberg/Bologna)

Un team internazionale di astronomi ha studiato l’ammasso di galassie Abell 2744, denominato anche “ammasso di Pandora”. Hanno ricostruito la storia violenta e complicata di questo grande complesso di galassie utilizzando telescopi sia in orbita che a terra. Abell 2744 sembra essere il risultato di un tamponamento a catena che ha coinvolto almeno quattro diversi ammassi di galassie. Questo scontro ha prodotto strani effetti che in precedenza non erano mai stati visti tutti insieme ed il cui studio ha permesso di ricostruire la storia di un “incidente” cosmico durato circa 350 milioni di anni.
Come un detective che cerca di ricostruire le cause di un incidente, possiamo utilizzare le osservazioni di questi resti cosmici per ricostruire gli eventi accaduti in un periodo durato centinaia di milioni di anni. Questa indagine può a sua volta svelare come si sono formate le più grandi strutture nell’Universo e come diversi tipi di materia interagiscano gli uni con gli altri.
Abell 2744 è stato soprannominato l’ammasso di Pandora perché la collisione ha scatenato tanti fenomeni diversi, alcuni dei quali non erano mai stati osservati in precedenza.
Lo studio è stato effettuato combinando i dati ottenuti con il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO, il telescopio giapponese Subaru, il telescopio spaziale Hubble e l’osservatorio orbitante per raggi X Chandra
Le galassie dell’ammasso sono chiaramente visibili nelle immagini del VLT e di Hubble e costituiscono meno del 5% della massa totale. Il resto è gas (circa il 20%), così caldo che risplende solo nei raggi X, e materia oscura (circa il 75%), completamente invisibile. Per capire cosa sia accaduto durante lo scontro, l’equipe aveva bisogno di ricostruire la posizione di tutti e tre i tipi di materia in Abell 2744.
La materia oscura è particolarmente sfuggente, poiché non emette alcun tipo di radiazione, non assorbe e non riflette la luce (da ciò il suo nome), ma si mostra solo attraverso l’interazione gravitazionale con la materia visibile. Per localizzarla è stato sfruttato un fenomeno noto come “lente gravitazionale”. I raggi di luce emessi da galassie distanti vengono infatti curvati quando attraversano il campo gravitazionale dell’ammasso, come se attraversassero una lente. Il risultato è una serie di distorsioni nelle immagini delle galassie di fondo. Tracciando esattamente il modo in cui queste immagini vengono distorte è possibile descrivere accuratamente dove si trova la massa nascosta e di conseguenza la materia oscura.
L’individuazione del gas caldo è invece molto più semplice, poiché il satellite Chandra può osservare direttamente i raggi X. Queste osservazioni sono fondamentali non solo per trovare dove si nasconde il gas, ma anche per mostrare le direzioni di provenienza e le velocità delle diverse componenti dell’ammasso prima dello scontro.
I risultati di questo complesso lavoro mostrano che Abell 2744 sembra essersi formato da almeno quattro diversi ammassi coinvolti in una serie di scontri verificatisi in un arco di tempo di circa 350 milioni di anni. Sembra che le collisioni abbiano isolato parte del gas caldo e della materia oscura così che essi ora sono separati sia tra loro che dalle galassie visibili. L’ammasso di Pandora unisce diversi fenomeni che sono stati visti finora solo individualmente in altri sistemi.
Vicino al centro dell’ammasso è presente una zona interessata da un’onda d’urto, dove il gas di un ammasso si è scontrato con quello di un altro, mentre la materia oscura è passata attraverso questa regione turbolenta senza danni.
In un’altra zona dell’ammasso, apparentemente, si trovano galassie e materia oscura, ma niente gas caldo. Il gas potrebbe essere stato rimosso durante la collisione, lasciando dietro di sé solo una debole traccia.
Nelle parti più esterne di Abell 2744 si trovano caratteristiche ancora più strane. Una regione contiene moltissima materia oscura, ma nessuna galassia o gas caldo. Questo incomprensibile assetto potrebbe svelarci qualcosa riguardo al comportamento della materia oscura e di come i vari ingredienti dell’Universo interagiscono tra di loro.
Gli ammassi di galassie sono le più grandi strutture del cosmo. Il modo in cui si formano e si sviluppano attraverso scontri ripetuti ha profonde ricadute sulla nostra comprensione dell’Universo.
Di Mario Di Martino Pubblicato 4 luglio 2011

giovedì 16 giugno 2011

Buchi neri giganteschi popolavano l'universo primordiale

Presenti nel 30-100% delle galassie distanti 13 miliardi di anni luce dalla Terra  L'universo primordiale era popolato da numerosi ed enormi buchi neri che crescevano a ritmi velocissimi nelle giovani galassie. La scoperta, pubblicata sulla rivista Naturee annunciata dalla Nasa, è frutto di una ricerca coordinata dall'università delle Hawaii e basata su immagini e dati inviati a Terra dal telescopio spaziale americano Chandra. I buchi neri nati all'alba dell'universo ora si nascondono al centro di galassie lontanissime, coperti da una spessa coltre di gas e polveri.
COMUNI - Questi «mostri cosmici», secondo gli esperti, sarebbero molto più comuni di quanto ritenuto finora: sarebbero presenti in un grande numero di galassie lontane, compreso fra il 30% e il 100% delle galassie distanti circa 13 miliardi di anni luce dalla Terra. «Finora non avevamo idea che cosa ci potessero fare buchi neri all'interno di galassie così antiche, e non pensavamo nemmeno che esistessero», ha rilevato il coordinatore della ricerca, Ezequiel Treister. Per il cosmologo Priyamvada Natarajan dell'università di Yale, «questa scoperta ci dice che già 700-800 milioni di anni dopo il Big Bang esistevano i primi buchi neri e che questi erano giganteschi».

I superbuchi neri sembrano essere in simbiosi con la loro galassia: un fenomeno che finora non si riteneva possibile per galassie così antiche. «La scoperta ci dice che la simbiosi fra i buchi neri e le galassie, osservata finora solo nelle galassie più vicine, esiste dall'alba dell'universo», ha spiegato uno degli autori dello studio, l'astronomo Kevin Schawinski, dell'università di Yale. Per scovare questi buchi neri, scoperti anche con il contributo dell'italiana Marta Volonteri, dell'università del Michigan, i ricercatori si sono concentrati sui raggi X emessi da 200 galassie molto distanti e rilevati dal telescopio Chandra. Queste emissioni ad altissime energie avvengono quando la materia attratta dal buco nero collide con le particelle di materia circostante e sono le uniche, spiegano gli autori, che riescono a passare attraverso la coltre di nubi di polveri e gas molto dense che avvolgono i buchi neri e trattengono gran parte delle altre emissioni. Segnali di questo tipo, proseguono gli esperti, sono la spia che questi oggetti sono davvero enormi, con una massa milioni di volte superiore a quella del Sole. (fonte: Ansa)

venerdì 18 febbraio 2011

Una super stella, è 300 volte più grande del Sole

Da rivedere il limite massimo di massa delle stelle
Astronomi dell’ESO hanno scoperto diverse stelle con temperature sette volte più calde del Sole, alcune decine di volte più grandi e alcuni milioni di volte più luminose

Utilizzando una combinazione di strumenti del Very Large Telescope dell’ESO, gli astronomi hanno scoperto le più massicce stelle finora note, dotate alla nascita di masse maggiori di 300 masse solari, ovvero più del doppio di quello che finora era ritenuto il limite massimo per questo tipo di oggetti.

L’esistenza di questi “mostri” – milioni di volte più luminosi del Sole – che perdono massa per effetto di venti solari estremamente intensi – potrebbe fornire una risposta a una questione cosmologica rimasta finora insoluta: quanto possono essere massicce le stelle?

Il gruppo di astronomi guidati da Paul Crowther, docente di astrofisica dell’Università di Sheffield, ha utilizzato il VLT insieme con i dati di archivio dell’Hubble Space Telescope della NASA/ESA al fine di studiare in dettaglio due ammassi di stelle, indicati dalle sigle NGC 3603 ed RMC 136°.

NGC 3603 è una fucina cosmica di stelle in cui esse si formano a un ritmo frenetico dalle estese nubi di gas e polveri di gas e polveri della nebulosa, posta a 22.000 anni luce dal Sole. RMC 136a (nota anche come R136) è un’altra nube di giovani e massicce stelle ad alta temperatura, localizzata nella Nebulosa della Tarantola, in una delle galassie vicine, la Grande Nube di Magellano distante da noi 165.000 anni luce.

Il gruppo ha così scoperto diverse stelle con temperature di oltre 40.000 gradi, più di sette volte più calde del Sole, alcune decine di volte più grande e alcuni milioni di volte più luminosa. I confronti con i modelli implicano che molte di queste stelle nacquero con masse che superano il limite di 150 masse solari. L’estremo di questa gamma è raggiunto da R136a1, trovata nell’ammasso R136 cluster, che è la più massiccia mai trovata poiché pare avere una massa di 265 masse solari e un peso alla nascita di 320 masse solari.

Le stelle estremamente massicce producono getti di materia estremamente potenti.

“A differenza degli esseri umani, queste stelle sono nate molto massicce e perdono massa via via che invecchiano”, ha spiegato Crowther. “Essendo di poco oltre il milione di anni di età, la stella più estrema, R136a1, è già “di mezza età’ e ha già seguito un’intensa ‘dieta dimagrante’ perdendo un quinto della sua massa iniziale, ovvero più di 50 masse solari.”

Il gruppo ha anche stimato la massa massima possibile per le stelle all’interno del cluster e il numero relativo di quelle più massicce.

“Le stelle più piccole sono limitate a circa otto volte la massa di Giove, limite al di sotto del quale si parla di nane brune o stelle mancate”, ha concluso Olivier Schnurr ricercatore dell’Astrophysikalisches Institut Potsdam che ha partecipato allo studio. “I nostri risultati corroborano l’ipotesi sostenuta finora secondo cui esiste un limite massimo alla massa delle stelle, purché si elevi tale limite a 300 masse solari, il doppio di quello ritenuto valido finora”

Più stelle e meno materia oscura nelle galassie scoperte da Herschel

Nelle immagini ottenute ci sono talmente tante galassie che esse si sovrappongono fittamente, formando una "nebbia" di radiazione infrarossa

Analizzando le immagini nell'infrarosso prese dallo strumento SPIRE (Spectral and Photometric Imaging Receiver) dell'osservatorio spaziale Herschel dell'ESA, è stata scoperta una popolazione di galassie circondate a nubi di polveri che non richiedono una massa di materia oscura elevata quanto finora ritenuto per innescare la formazione stellare ad alti tassi. La scoperta è annunciata in un articolo pubblicato su Nature.

Queste lontane galassie hanno ciascuna circa 300 miliardi di volte la massa del Sole, sfidando gli attuali modelli di formazione stellare che richiederebbero galassie 10 volte maggiori per essere in grado di concentrare gas e polveri in modo da formare stelle a velocità elevate.

Gli attuali modelli relativi alla nascita delle galassie ipotizzano che all'inizio ci sia stata una forte concentrazione di materia oscura capace di creare grazie a proprio campo gravitazionale un accumulo di atomi di materia ordinaria, fino a permettere l'innesco di reazioni nucleari e la formazione di stelle, a un ritmo da 100 a 1000 volte superiore a quello che si osserva oggi nella nostra galassia.

"Con la sua altissima sensibilità all'infrarosso lontano emesso da queste giovani galassie avvolte da polveri stellari, Herschel ci permette guardare in profondità nell'universo e comprendere meglio la formazione e l'evoluzione delle galassie", ha detto Göran Pilbratt, del progetto Herschel dell'ESA.

"Herschel ci sta mostrando che che non è necessario un quantitativo di materia oscura così elevato quanto finora ritenuto per innescare la nascita delle stelle", ha detto Asantha Cooray, coautore dell'articolo.

Nelle immagini ottenute ci sono talmente tante galassie che esse si sovrappongono fittamente, formando una "nebbia" di radiazione infrarossa nota come fondo cosmico a infrarossi. Le galassie non sono distribuite a caso ma seguono il sottostante schema di distribuzione della materia oscura nell'universo, e così anche questa "nebbia" mostra un caratteristico andamento di zone chiare e scure.

I dati mostrano in particolare che il tasso di formazione di stelle nelle galassie nell'infrarosso lontano è da 3 a 5 volte superiore a quello desumibile dalle osservazioni nell'infrarosso più vicino e nel visibile relativo ad analoghe, giovani galassie osservate dall'Hubble Space Telescope e da altri telescopi.

mercoledì 16 febbraio 2011

Prime immagini ravvicinate della cometa Tempel-1

La sonda spaziale statunitense Stardust-Next si é; avvicinata come previsto alla cometa Tempel-1 e ha iniziato a trasmettere le immagini del sorvolo, durato circa un'ora: lo ha annunciato la Nasa. La sonda - che si è avvicinata a una distanza minima di 182 chilometri - era stata lanciata nel 1999: la prima parte della missione consisteva nel raccogliere dei campioni della coda della cometa Wind 2 e di polvere interstellare, inviati successivamente sulla terra con una speciale capsula. Scopo della nuova esplorazione di Tempel 1 è il misurare le variazioni subite della cometa dopo il completamento di un'orbita solare rispetto al 2005, quando la sonda deep impact la colpì; con un missile per studiarne la composizione.








lunedì 7 febbraio 2011

L'uomo è in orbita attorno a Marte

L'obiettivo raggiunto qualche giorno fa dai 6 membri del progetto Mars500 che sta simulando in un hangar della Russia il viaggio, la discesa sul corpo celeste e il ritorno a Terra. C'è anche un italiano
di LUIGI BIGNAMI

L'UOMO è "arrivato attorno a Marte". L'obiettivo è stato raggiunto qualche giorno fa dai 6 membri del progetto Mars500 1 che sta simulando in un hangar della Russia un viaggio verso il pianeta rosso, la discesa su di esso e il ritorno a Terra. Dopo 244 giorni dalla partenza i sei uomini, tra cui vi è anche un italiano, Diego Urbina, sono arrivati in orbita marziana e da lì il prossimo 12 febbraio scenderanno sulla superficie del pianeta, dove realizzeranno 3 passeggiate per raccogliere campioni e informazioni del suolo, anch'esso del tutto simulato.

Mars500 è un esperimento voluto da un gruppo di ricercatori internazionali che vuole studiare le complesse interazioni psicologiche e tecniche che nel futuro incontreranno gli uomini che si spingeranno realmente sulla sua superficie. Il non vedere la Terra ad esempio (essa, dopo poche settimane dalla partenza, apparirà come una qualunque stellina del cielo), potrebbe avere serie ripercussioni sul morale degli astronauti. Il non riuscire a risolvere qualche problema tecnico potrebbe essere causa di forte depressione per qualcuno dell'equipaggio. Qualche incompatibilità di carattere che potrebbe emergere dopo settimane di stretto contatto potrebbe addirittura far fallire la missione. Per questo è necessario una simile ricerca.

La struttura ove si sta simulando il viaggio si trova all'Istituto di Problemi Biomedici di Mosca. I sei uomini dell'equipaggio (3 russi, 2 europei e un cinese) stanno lavorando
come fossero realmente diretti verso Marte: essi operano 5 giorni alla settimana e durante la giornata lavorativa eseguono esperimenti, esercizi fisici e lavori di mantenimento della navicella. "Mars500 è un esperimento che ci spinge verso il futuro. L'Europa sta facendo passi davvero importanti verso l'esplorazione dello spazio", ha detto Simonetta di Pippo, Direttore dei voli umani all'Agenzia Spaziale Europea.

Tutto nell'esperimento è così realistico che anche i messaggi tra l'equipaggio e la base spaziale sono ritardati di un tempo simile a quello che proveranno realmente gli astronauti marziani quando saranno su Marte. Il pianeta rosso infatti, dista decine di milioni di chilometri (varia a secondo del periodo dell'anno durante il quale i due pianeti si avvicinano o si allontanano) dalla Terra e le comunicazioni radio impiegano diversi minuti per coprire lo spazio esistente.

Il 2 febbraio, dopo circa un mese e mezzo di approccio a Marte, gli astronauti sono entrati in orbita attorno al pianeta. L'equipaggio ha aperto il portellone che separa la navicella madre con il modulo che scenderà sulla superficie del pianeta. Ora i tre uomini dell'equipaggio si trasferiranno nel lander, eseguiranno il distacco dalla navicella madre e il giorno 12 febbraio atterreranno su Marte. Due giorni dopo il russo Alexander Smoleevskiy e Urbina indosseranno le tute e usciranno all'aperto. Il 18 febbraio invece, sarà la volta di Smoleevskiy and Wang Yue e il 22 sarà ancora la volta del russo e dell'italiano. Alla fine del mese di febbraio ritorneranno alla navicella madre, dove, dopo tre giorni di quarantena, si riuniranno al resto dell'equipaggio. Quindi, il lander verrà sganciato e abbandonato nello spazio, mentre gli uomini riprenderanno la strada verso la Terra per raggiungerla il prossimo novembre. Un Capricorn 1 (il film del 1978 dove un complotto architettò un viaggio a Marte, mai realizzato, ma fatto credere tale in studi appositamente attrezzati) di cui si conosce ogni fase, ma le cui conclusioni permetteranno di trovare risposte ai molti problemi psicologici che gli astronauti incontreranno durante un simile viaggio.
(04 febbraio 2011)

giovedì 3 febbraio 2011

Scoperto il baby buco nero

Annuncio della NASA: Scoperto il baby buco nero
Ha appena 30 anni ed è il più «giovane» scoperto vicino alla Terra (a 50 milioni di anni luce).

Ha appena trent’anni ed è giudicato il più giovane buco nero scoperto nelle vicinanze, in senso astronomico naturalmente, della Terra. Il piccolo mostro cosmico battezzato SN 1979C si trova nella galassia M100 a circa 50 milioni di anni luce dal nostro pianeta. La scoperta è frutto di intense osservazioni da parte dei satelliti Chandra della Nasa, XMM-Newton dell’Esa e Rosat tedesco. Ma questi telescopi spaziali hanno, in realtà, definito la natura del corpo celeste che era stato individuato in cielo già nel 1979 (come evidenza la sua sigla) da un appassionato astrofilo. Ora si è precisato, appunto, che si tratta di un giovanissimo buco nero ed ciò che è rimasto dopo la formazione di una supernova, generata dall’esplosione di una grande stella.

STELLE COLLASSATE - Da simili fenomeni nascono stelle a neutroni e poi anche buchi neri quando la materia stellare collassa su se stessa. Tutto ciò accade quando l’astro originario ha una massa oltre venti volte quella del nostro Sole. «E’ estremamente difficile scoprire questo genere di buchi neri – spiega Abraham Loeb dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics – perché occorrono lunghi anni di osservazioni nel campo dei raggi X prima di essere certi che tali emissioni nascondono la loro presenza». L’importanza della scoperta sta nel fatto che aiuta gli astronomi a decifrare i primi passi e l’evoluzione dei mostri celesti i quali, nelle varie dimensioni, si rivelano più numerosi rispetto a quanto in passato si era immaginato.

Giovanni Caprara
15 novembre 2010

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